martedì 13 novembre 2018

Giorgio e Letizia 4


Era ormai sera, Giorgio ne aveva avute abbastanza per quel giorno, e al ritorno si fermo in una località’ vicina, non valeva la pena di tornare a casa presto, tanto non sarebbe andato avanti con nessun lavoro, anzi, poteva anche buttare tutto quello chelo aveva impegnato intere notti per varie settimane.
Ora, sarebbe dovuto andare a casa solo con l’intento di perdere tempo cercando di capire cosa erano ste “chat”, quindi tanto valeva fermarsi a cena in quel locale carino, dove facevano delle deliziose lasagne al pesto. Una buona bottiglia, e poi a nanna, deciso di recuperare un poco le ore di sonno perse.

Il locale era semivuoto, solo un paio di coppiette, probabilmente fidanzati, che stavano cenando, pregustando già quale sarebbe stato poi il dolce. Si poteva notare dagli sguardi, da come si parlavano, da come si muovevano. Fu colto da una strana tristezza, decise di andarsi a bere il caffè a casa, e si avvio.
Piazzale Roma, d’inverno è abbastanza sgombro, si vede che i turisti cominciano a sentire il freddo, e l’umidità aiuta a tenere lontani per un po’ gli scocciatori.
Sarebbe durata ancora per poco, mancava solo una settimana a natale, e mancava solo che mettessero lucine intermittenti sul ponte dei Sospiri, e a quel punto tutta la città’ sarebbe stata al completo.
GianLuca era già’ in auto ad aspettare gli altri e li vedeva avvicinarsi, in genere erano tutti abbastanza puntuali, Maurizio stava scendendo ora dal battello, mentre Ivan e Annalisa ero vicini all’auto abbracciati, in cerca di un po’ di calore in quella fredda serata.
<< Dai ragazzi, salite, Letizia sarà’ sicuramente in ritardo.....>>
Letizia era sul battello, da casa sua alla terraferma, c’erano circa 10 minuti di strada a piedi, ma non se la sentiva con quel freddo, aveva preferito per un mezzo più comodo.
Odiava arrivare in ritardo, le costava sempre un sacco di rimproveri da parte di tutti, ma non riusciva mai a essere puntuale, ogni volta che usciva da casa si accorgeva di aver dimenticato qualcosa, anche quella sera successe, ed, infatti, era già in strada quando si ricordò di non aver sfamato Birillo, il suo dolcissimo Siamese di quattro anni.
Se ne stava lì, seduta in fondo alla barca, con la mente svuotata da ogni pensiero, si sentiva un poco triste, ma non ne capiva il motivo, ogni anno a Natale, ricadeva nelle solite crisi, faceva parte della categoria di persone, che vorrebbero cancellare quel periodo dell’anno.
<<va bhe, in fin dei conti sono solo una decina di giorni, poi mi passerà>> cercava di convincersi che tutto sommato era solo un breve periodo.

giovedì 8 novembre 2018

Giorgio e Letizia 3


<< Bhe, io, sig., Giacomo sto lavorando a quel famoso progetto inerente la gestione del teleriscaldamento.. sono quasi alla fine ma mi ci vorrà ancora un mesetto per verificare che tutto vada bene senza bug nei listati>>
<< Giorgio caro....mi sa che resti solo tu>>
<< Vedi cosa succede quando non si desidera avere uno staff tutto tuo? Ma preferisci lavorare da solo? Adesso come farai? >>
<< E no, signori, io proprio non posso, non posso permettermi di mollare il lavoro inerente i data base della TAG SPA. Lo sapete che devo consegnare tutto prima di Natale>>
<< Balle, cazzo, non me ne frega nulla della Tag, vadano da un’altra parte, molli tutto e te ne occupi tu di sto cazzo di chat>> Le parole del boss evidenziavano sempre di più la sua origine montanara, ed ora come si faceva a contraddirlo?
<< ma io, Giacomo, non so neppure come ci si muove nelle chat room, le ho sempre odiate, sono tutti dei perditempo quelli che le frequentano...>>
<< Signori, la seduta per me è già chiusa, tu Giorgio te ne occuperai, e voi altri vedete di cosa ha bisogno, tu Ale, passa nel mio ufficio, ti devo parlare>>
<<Si, certo, e chissà cosa le vorrà dire...mmhh>> aggiunse a sottovoce Giorgio, più contrariato per quel fatto che per la grana che gli avevano affibbiato.
Saluto’ tutti e si eclisso contrariato....sbattendo la porta in faccia a Betty, che in ogni caso doveva già’ essere al corrente di tutto, non guardo nemmeno se da lassù si vedeva il sole....quella ormai era una giornata di nebbia in tutti i sensi.

Venezia è una città’ fantastica, i suoi palazzi che si affacciano sui canali, le sue piccole piazze, i suoi vicoli. I numerosi turisti che la visitano restano incantati dalla sua bellezza. Ma, viverci non è la stessa cosa; dovrebbero provare i turisti ad andare al lavoro con il motoscafo, ad indossare stivali di gomma con il vestito da sera, a fissarsi appuntamento con gli amici in piazza Smarco e poi non incontrarsi per via della troppa gente che l’affolla....
Letizia amava Venezia, già. Letizia.

Letizia era una stupenda donna di 32 anni, lunghi capelli corvini mossi, magrissima, un viso da bambina caratterizzato da due occhi a mandorla che denotavano un suo probabile avo asiatico.
Letizia amava moltissimo la sua città’ e non l’avrebbe abbandonata per nulla al mondo, quando si sentiva triste amava passeggiare lungo i canali, si fermava ore sopra Rialto a guardar le barche passare oppure curiosava qua e là gli artisti che immortalavano su di una tela le incantevoli bellezze della città’.
Definirla una ragazza attiva era un eufemismo, amava la vita e amava goderla in tutte le sue sfumature; una marea di amici intorno e un lavoro interessante nella bottega del padre. Era bellissimo vederla davanti a quella piccola fiamma azzurra, soffiando il vetro con quella cannuccia, le riuscivano bene i gabbiani in volo....
Non aveva un amore, se ne era sempre voluta star fuori dalle storie sentimentali impegnative, qualche storiella, ma il principe azzurro lo stava ancora aspettando, era cosi presa dal godersi la sua esistenza che probabilmente anche se fosse passato con tanto di cavallo, non l’avrebbe visto....

sabato 3 novembre 2018

Donne che non perdonano - Camilla Lackberg

Ingrid è un’ex giornalista che ha rinunciato alla carriera per il marito e ora scopre che lui la tradisce. Viktoria è scappata dalla Russia, dove rischiava la vita, ma in Svezia ha trovato l’inferno. Birgitta non va neanche dal medico per non mostrare i lividi che le lascia il marito. 

Non si conoscono, eppure possono salvarsi a vicenda. L’importante è prendere una decisione: smettere di essere vittime e diventare delle mantidi.

 


In uscita il 13 novembre 2018
 

Apocalisse Digitale

Sembra che all'orizzonte i prossimi mesi ci sia un nuovo libro di Carrisi. 

Eppure in rete ci sono solo 2 indizi.

Il primo sul sito Amazon il nuovo romanzo "con titolo da definirsi" e senza data Porta solo il prezzo e a scatola chiusa.

Il secondo sul sito di Bookcity Milano delle settimane scorse l'eventuale tema che verrà trattato. Credo che Carrisi voglia presentare lì il suo prossimo lavoro per poi iniziare dal suo sito personale e dagli altri canali la pubblicazione del titolo e quant'altro.

Ecco il testo:

Apocalisse digitale. Donato Carrisi anticipa il suo nuovo thriller ‘filosofico’
Con Donato Carrisi
Il mondo che conoscete è fatto di materia reale o materia digitale? Quello che non sapete è che la distinzione fra i due mondi è sempre più sottile, elusiva e spaventosa. Immaginate un conto alla rovescia. Ogni giorno vedrete sparire per sempre un pezzettino della vostra vita digitale. Un social network. Un motore di ricerca. Perfino la possibilità di farvi un selfie.
Tra presagi, enigmi e sfide, Donato Carrisi vi invita a partecipare a una narrazione collettiva di un’ipotetica apocalisse digitale, invitandovi a scoprire insieme cosa ne sarebbe di voi se l’universo di bit che ci circonda dovesse scomparire e anticipandovi alcuni degli scenari del suo nuovo, attesissimo thriller.

17 novembre 2018
ore 18:00

Giorgio e Letizia 2


<< Buongiorno signori, scusate, ma sapete come sono....e poi il traffico con questa nebbia oggi è davvero congestionato.>>

<< Sì si, va bene, veniamo subito al sodo, c’è un grosso problema da risolvere>>

Al tavolo, insieme a Giorgio, c’erano altre quattro persone oltre al capo, il primo che stava alla destra di Giacomo, era il figlio, il classico figlio di papa’ rincoglionito da Extasi e da video Games, non aveva ancora 20 anni, e se fosse stato per lui, li avrebbe sostituiti tutti, creando uno staff per realizzare videogiochi.

Il secondo, alla sua sinistra, era il tecnico hardware, un uomo di 35 anni, sposato, due bimbe bellissime....sempre immerso in hard disk e schede di rete, un genio nel suo campo, ma si sa, chi dedica troppo tempo al lavoro, in genere trascura la famiglia ed, infatti, si era a conoscenza che avesse dei problemi con la moglie, certamente insoddisfatta della vita coniugale.

Il terzo invece, di poco più spostato, era un giovane acquisto della “famiglia”, arrivò in ditta quasi due anni fa, come consulente, entrando nelle grazie del boss, ed ora era stato assunto in maniera stabile, occupandosi per il momento della parte commerciale, si vociferava che fosse pure un po’ gay, ma si sa, nelle grandi aziende, per mettere a tacere tutto ti devi presentare con la moglie o con una fidanzata, se non avviene, sei alla mercé di tutti i pettegolezzi.

La quarta invece era Alessia, una stupenda donna di 28 anni, la sua bellezza non oscurava la sua intelligenza, non curava molto il suo aspetto, era già molto bella di suo, vestiva elegante, bionda platino con dei lunghi boccoli che le arrivavano al fondoschiena, si occupava anche lei della realizzazione di software, ed era un vero genio, ogni tanto aveva delle trovate incredibili, togliendo le castagne dal fuoco a tutti. Giorgio la temeva e questa competizione faceva sì che non si addormentasse mai sugli allori di un lavoro precedentemente effettuato.
<< Ascoltate signori, siamo nella merda fino al collo>> ecco, comincio cosi il discorso del boss, e i suoi termini e la sua cadenza, denotavano una chiara derivazione provinciale tipica delle valli bresciane.
<< ieri ho parlato con un cliente, un provider della zona, mi è stato chiesto un software specifico da utilizzare nelle chat.>>
<< sapete vero cosa sono le chat?>>
E come potevano non saperlo? Internet ormai era sulla bocca di tutti da almeno due anni, e i telegiornali non facevano altro che parlare della potenziale pericolosità’ delle chat, dagli stati uniti arrivano ogni giorno notizie poco confortanti, sempre più persone, tramite le chat, riuscivano a eludere i sistemi di sicurezza più evoluti, inoltre ogni qualvolta succedeva qualche cosa strana a ragazzini, si incolpavano le chat....per via della pedofilia.
I presenti, si chiesero subito se fosse il boss a non sapere di cosa stavano parlando, ma nessuno oso’ chiederglielo.
<< non solo ha una fretta enorme, ma voglio un lavoro ben fatto, bisogna creare un qualcosa che protegga le reti, ma che allo stesso tempo sia facile da usare, anche il principiante vi deve poter accedere.>>
<< Tu Alessia, a che stai lavorando ora con il tuo staff?>>

venerdì 2 novembre 2018

Giorgio e Letizia 1


Erano anni che Giorgio lavorava nel campo dell'informatica. Fin da piccolo era sempre stato affascinato da qualsiasi cosa avesse un congegno elettrico nel suo interno, s’immaginava gli elettroni scorrere nei dei giocattoli, che nella loro semplicità' costruttiva degli anni 60', riuscivano ad illuminare una lampadina di un aereo, o muovere i cingoli di un carro armato. Sembrava di vederla, la corrente quando scorreva sulle rotaie della pista elettrica o del trenino.


Col tempo, crescendo, la sua passione si rivolse sempre più ai marchingegni elettronici, complessi ma in ogni modo semplici se paragonati alle macchine d’oggi… Erano anni che girava nei mercatini dell'usato alla ricerca di quel ormai famoso gioco del Ping Pong, che per primo avvicino' gli italiani ai Games.



Con una punta di nostalgia, gli capitava spesso di pensare al vecchio commodore64 o al mitico Sinclair, quanti pomeriggi passati davanti ad una televisione in bianco e nero recuperata in soffitta, sentiva ancora il caldo emanato delle sue valvole, chi si sarà mangiato il povero pac man? Saranno riusciti gli alieni dello Space Invaders a colonizzare la terra?



Quante giornate, consumate, sognando davanti ad un monitor, mentre gli amici se ne andavano al lago in compagnia delle loro ragazze… Ormai all'alba del 20" secolo ogni microprocessore non aveva più segreti per lui, ogni software era conosciuto come le proprie tasche, oramai alla soglia dei 30 anni, era ancora là, davanti ad una macchina. Viveva in un bilocale, ex garçonniere di un suo amico che ormai aveva messo la testa a posto e si era sistemato, standosene tranquillo e felice con due pargoli e una moglie deliziosa.

Era situato appena fuori di un ridente paesino, ed aveva un terrazzo con una stupenda vista a lago, dove Giorgio si rifugiava nei momenti di maggior riflessione. Amori non ne aveva avuti molti, e solo uno era stato davvero importante, ma come tutte le belle cose era finito e lui portava dentro di se una grande amarezza, che riaffiorava ciclicamente quando riguardava le foto che la ritraevano nei momenti felici.

Le sue giornate passavano uguali tutti i giorni, lavorava a casa propria per una software house ed era in pratica così immerso nel suo lavoro che questo lo aiutava a non vivere.



1



Giorgio quel giorno non se la sentiva proprio di andare in città, lui il suo lavoro lo svolgeva a casa, ma la sera prima, una telefonata lo aveva avvisato che doveva presentarsi in sede centrale, per lo studio inerente un nuovo software a quanto pare pure poco interessante. Quel martedì, era caratterizzato da un freddo pungente, l’inverno era ormai alle porte e in quella limpida giornata di sole il lago rifletteva le cime innevate delle montagne.

<<No, cavolo, chissà che traffico che trovo. >> questo fu il primo pensiero di Giorgio quando mise il piede fuori dal letto.

La sua stanza era ancora impregnata dal fumo delle sue Marlboro, era andato a dormire tardi la sera precedente, si può affermare che non ci fosse andato affatto....si era addormentato completamente vestito, con il portatile, ormai scarico, sul cuscino. Tempo di una doccia, la barba e un caffè’ ed era già’ in colonna, direzione la città’… Il Cristal Palace, il grattacielo di Brescia, si stagliava, fiero di se stesso sopra la città avvolta nella nebbia, tipica della giornate invernali di cielo sereno.

<< Chissà se da lassù si vede il sole.....noo cavolo, quel maledetto ascensore....

Perché i grandi palazzi non sono forniti anche di scale?>> queste furono le sue prime impressioni, odiava quel palazzo, e sapeva che ogni volta che ci entrava poi ne usciva con delle grane da risolvere...



<< Ciao Giorgio, come va? >> non ebbe il tempo di mettere il naso all’interno che subito fu aggredito dalla voce squillante di Betty, una simpatica ragazza di 20 anni, con il pallino del piercing.

<< Ciao Betty, tutto bene grazie.>> Betty la trovò, sempre più strana, chissà in quali altre parti del corpo si era fatta infilare anelli e orecchini a brillante, visto che già ne aveva tre che le rovinavano, secondo lui, i lineamenti fini del viso da ragazzina.

<< Il boss dov’è?>>

<<E’ in riunione, ma ti stanno aspettando, attento, hanno delle novità’, e non so se ti piaceranno, da come né parlavano...>>

Elisabetta era una ragazza sveglia, ma un po’ troppo impicciona per i gusti di Giorgio. La classica segretaria che non si fa mai gli affari suoi..

<<okkei, avvisali che sto arrivando>>

La sala riunioni era tutta tappezzata da poster inerenti le pubblicità’ di vari applicativi venduti negli anni, tra i quali ne spiccavano alcuni in cui Giorgio ne era stato il promotore. Arredamento abbastanza pesante, che denotava il cattivo gusto del “boss”, una persona di circa 50 anni, abilissimo nel marketing, ma completamente all’oscuro in fatto di software e hardware, probabilmente pensava che un cd ROM fosse in realtà’ un comodo porta tazze, ma nessuno non aveva mai osato chiedergli cosa ne pensava. L’importante era vendere, non importa se era impossibile creare il programma richiesto, prima si stipulava il contratto, poi si pensava alla sua risoluzione....

In mezzo alla stanza, un enorme tavolo rettangolare, con lui, Giacomo, a capotavola.

<<Vieni Giorgio, ti stavamo aspettando, e sei pure in leggero ritardo>>

Il romanzo è una storia d'amore, il racconto è la passione di una notte


Sono le parole di Niccolò Ammaniti contenute nella raccolta di suoi racconti intitolata "Il momento è delicato".

Nei prossimi giorni vorrei pubblicare un racconto di un collega.

Lo farà a puntate e corredato di alcune fotografie. E' un esperimento. Il racconto è di circa 30 pagine, non farò 30 puntate ma vorrei arrivare verso Natale mettendone ogni settimana una parte.

Mi ha colpito la frase di Ammaniti. I romanzi sono molteplici, i racconti molto meno ma per questo non così intensi. Anzi. Auguro a chi legga le parole scritte dal collega Roberto di provare almeno una piccola parte della passione di cui parla Niccolò Ammaniti.

Buona lettura!

martedì 2 ottobre 2018

Una di luna - Andrea De Carlo


Finalmente! Stavo aspettando ormai da tempo questo nuovo libro. Sapevo che ogni due anni, immancabilmente Andrea De Carlo pubblica un suo nuovo romanzo. Quest'ultimo intitolato "Una di luna" ci fa entrare dentro in un reality alla maniera di Master Chef raccontandoci il rapporto di uno Chef con il cibo, la passione, la cura nella preparazione ma soprattutto il rapporto e il legame che c'è tra la protagonista e suo padre. E' un rapporto padre-figlia.
Sto leggendo piano piano perché
voglio gustarmi ogni singola parola di Andrea e della sua scrittura.

14 anni...

Gli anni passano e le scelte pure. Eppure ogni anno la mente torna su quella mattina in cui ricevetti la chiamata da mia mamma che mi diceva che un amico aveva perso la vita in un incidente alla Dalmine. Pochi istanti per capire o forse dopo 14 anni ancora non ci ho capito nulla. Ricordo come se fosse un film gli ultimi istanti del tuo corpo martoriato qui sulla terra. Cosa potevamo fare... pregare, gridare, consolare. Ricordo la tua mamma e le.sue parole. Non sapevo davvero cosa dire. Ero rimasto muto perché soffrivo pure io.

Ricordo come se fosse oggi e ogni volta mi commuovo.
Venivo a casa tua che era davanti a quella della nonna, si giocava. Ma la cosa migliore era sentire di essere liberi di prendere la nostra bici e di andare verso bassabrembo con altri amici oppure arrivare fino alla stradone che ora non c'è più. Ci si divertiva e i ricordi dell'infanzia sono sempre i più belli...

La vita è come una strada che ciascuno percorre. Ognuno vede il proprio orizzonte, fa fatica e spesso viene ricompensato delle proprie fatiche. La tua strada è stata breve, troppo breve ma sicuramente vissuta alla grande. Ecco perché vale la pena ogni volta ri-partire. Cadi, va bene, ma poi ti rialzi e continui a viaggiare su quel sentiero.

E' solo un piccolo pensiero ma volevo scriverlo, altrimenti i sentimenti, le emozioni restano dentro di noi e non escono mai.

Non a caso, oggi è la festa degli angeli custodi. Dicono che ciascuno di noi ne abbia uno. Io son convinto. Ho il mio angelo custode che da 14 anni mi segue.

Grazie

mercoledì 6 giugno 2018

Il papa buono



Ogni buon bergamasco dovrebbe far visita a questo grande Santo.
Ho fatto anch'io il mio atto di devozione al papa buono. Ho scritto un piccolo biglietto in cripta affidando a lui la mia famiglia e tutte le persone che mi vogliono bene. Era il papa degli ultimi, dei carcerati, dei malati. 
Come dimenticare i gesti suoi da papa. La visita in ospedale e in carcere a Roma. 
Di riflesso la visita ai carcerati a Bergamo e in ospedale durante questa Peregrinatio. Un dono alla chiesa di Bergamo che un pò forse ha perso le tradizioni. Papa Giovanni ha riunito molta gente. Molte persone sono legate a lui. Mio papà in auto porta sempre un "santino" del papa. 

Impressionante vedere quanta gente a volte molto composta, altre volte meno, fa visita e con gesti semplici prega. Abbiamo ancora bisogno di segni e sempre ne avremo. Abbiamo bisogno di toccare il corpo di un santo per credere che ancora una volta la Chiesa ci è vicina e vale la pena credere e rispolverare dalla memoria le preghiere di una volta. 



Grazie a papa Francesco che ci ha fatto questo grande dono e grazie al vescovo Francesco che ha fatto partire tutta questa grande macchina organizzativa. 

Spero che dal 10 giugno, giorno in cui il corpo di papa Giovanni rientrerà a Roma non rimanga solo un ricordo questa visita ma rimanga la voglia di andare a pregare nei luoghi dove papa Giovanni è cresciuto. Che non siano solo dei "fuochi d'artificio" del momento, come diceva spesso il vescovo Roberto ma siano l'espressione del popolo di Dio che si affida ancora ai santi e ha bisogno di sentire la loro vicinanza per continuare a sperare, per continuare a pregare.

Papa Buono intercedi per noi!
Noi ti affidiamo tutte le nostre famiglie, gli ammalati e i carcerati.


giovedì 3 maggio 2018

Riparte tredici seconda stagione


In uscita il 18 maggio. Cercheranno di rispondere a tutte le nostre domande aperte nella prima stagione?

Arrivano i prof

Cosa succede se un professore di educazione fisica, di storia, di inglese, di matematica, chimica, italiano e filosofia arrivano in un istituto che sta per chiudere e in più loro hanno un metodo "alternativo" rispetto alla didattica tradizionale? E' quello che succede in questo film di Ivan Silvestrini. Sembrerebbe banale fin dall'inizio eppure può lasciare anche qualche spunto. Il discorso del professore di matematica (Claudio Bisio) sul tetto della scuola oppure il primo giorno di scuola di quest'ultimo con il compito del scrivere il nome in un'ora. Non lascia delle riflessioni filosofiche ma è carino. O meglio, a me è piaciuto. 

 

Poteva starci la scelta del regista di aggiungere più scene comiche con la prof d'inglese e di chimica invece di banalizzare il loro lavoro con la prof che lancia i gessetti agli alunni in una guerra senza esclusioni di colpi e infine il prof di chimica taciturno che fa esperimenti in classe ma non spiega nulla.

Un buono spaccato della scuola di adesso? Non credo fosse l'intento di Silvestrini. Anzi, mette in mano agli alunni la scuola ma il loro futuro in contrapposizione all'istituto poposto dal provveditore: "semplicemnte scuola".

La scuola è semplicemente degli alunni e dei loro professori!



 

La guerra infinita


(Attenzione! possibili spoiler: poi non dite che non vi ho avvisati) 

Ci ha abituati bene la MARVEL con un film di supereroi ogni 2-3 anni. 18 film prima di giungere all'apoteosi del raggruppamento di supereroi in un solo film. Avenger: Infinity war appunto.

Non è solo la presenza di tanti supereroi a colpire ma la maestosità delle scene e anche i temi trattati come l'infinito duello tra il bene e il male, solo per citarne uno fra mille.

Anche le battute disseminate lungo la pellicola (soprattutto alla presenza dei guardiani della Galassia) è quello che ci aveva abituati la Disney. Mi ricorda l'ultimo spider man adolescente che ne combina di tutti i colori.

Quest'ultimo?! film MARVEL (forse l'ultimo della serie, ma non credo e poi spiegherò brevemente il perchè, è un concentrato di eventi del passato, di ritorni e di luoghi che vengono visitati. 

Inizia tutto dalla fine dell'ultimo lungometraggio di Thor: Ragnarok dove il figlio di Odino aveva salvato il suo popolo mandando in distruzione la sua terra. 

"Perchè Asgar non è una terra ma un popolo" 
Ci lascia così la distruzione del castello di Asgar mentre tutti gli abitanti fuggono con Thor. E' un popolo che vga nell'universo alla ricerca di una terra dove dimorare (sceglieranno poi il pianeta terra). Un popolo che non ha bisogno di abitazioni ma trova la sua identità nel suo re (Thor) e nei suoi valori.

Ogni scena può lasciare non solo delle domande aperte ma degli appunti di riflessione.

Per chi volesse può fare una full immersion di ripasso prima di avventurarsi in Infinity war.

Ecco l'elenco dei 18 film che preparano a questo:

Iron Man (2008)
L'Incredibile Hulk (2008)
Iron Man 2 (2010)
Thor (2011)
Captain America: Il Primo Vendicatore (2011)
Avengers (2012)
Iron Man 3 (2013)
Thor: The Dark World (2013)
Captain America: The Winter Soldier (2014)
Guardiani della Galassia (2014)
Avengers: Age of Ultron (2015)
Ant-Man (2015)
Captain America: Civil War (2016)
Doctor Strange (2016)
Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017)
Spider-Man: Homecoming (2017)
Thor: Ragnarok (2017)
Black Panther (2018)
Avengers: Infinity War (2018)

(fonte dell'elenco il sito di Sorrisi e canzoni)

(per chi volesse può trovare l'elenco e i trailer di questi ultimi film a questo indirizzo: https://www.mondofox.it/2018/03/23/cronologia-film-serie-tv-marvel/)

E infine lascio alcune domande aperte in attesa sicuramente della seconda parte.

1. Perchè nessuno ha ucciso Thanos?
2. Chi è morto davvero?
3. I superoi "evaporati" son morti o ricompariranno? (azzardo: c'è forse sotto una magia del Doctor Strage?)
4. Quale sarà la prossima mossa di Thanos?

Buona visione!



 





lunedì 30 aprile 2018

Senza profumo e senza senso

«Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l’aria, ci domina totalmente, non c’è modo di opporvisi»: sono le parole del protagonista del libro di Patrick Süskind, Il profumo. Gli omicidi che porta a termine paralizzano la Parigi del XVIII secolo: ventiquattro bellissime ragazze dai cui corpi l’assassino, dopo averle uccise, cattura il profumo con la tecnica dell’enfleurage. Distillando l’essenza delle donne più belle, realizzerà «il profumo dei profumi». Infatti il ragazzo, abbandonato in un mercato dalla madre e senza un padre, è nato senza amore ed è quindi privo di qualsiasi odore. Divenuto, grazie al suo olfatto straordinario, il più grande profumiere del suo tempo, vuole realizzare a ogni costo il profumo perfetto, essenza di sé e quindi della vita, per essere finalmente considerato e amato.

Questo libro, scritto al tramonto del XX secolo, è profetico nel cogliere un tratto essenziale del nostro tempo e dei recenti fatti di violenza compiuti da ragazzi contro gli insegnanti. Si tratta di una generazione messa al mondo, ma inodore, senza alcun profumo: benché gli adulti ci siano, i ragazzi sono orfani del senso per vivere e alla disperata ricerca di una vocazione che nessuno li ha aiutati a elaborare. Per questo, come il profumiere protagonista, diventano violenti e «seduttivi» pur di essere considerati e amati.

Oggi spesso l’«essenza», la sostanza a cui i ragazzi si affidano per profumare, è il cellulare, quello che riprende un ragazzo che umilia il professore urlandogli di inginocchiarsi e segnare un 6 sul registro. Il video, come è prassi dei nostri tempi, diventa virale su social e canali di informazione: uno spettacolo che, in questo modo, consente di esistere un po’ di più ma è anche, inconsapevolmente, una richiesta di soccorso perché gli adulti battano un colpo di presenza, capace di porre limiti e indirizzare costruttivamente il desiderio di vita vera che alberga in ogni ragazzo, anche il più «storto». Né più né meno di quello che fa ogni adolescente quando mette alla prova l’autorità dei genitori, per verificare se ciò che dicono e chiedono a parole è vero e incarnato, e quindi assimilabile, o si tratta solo di paura, controllo e imposizioni verbali. Ricordo le parole chirurgiche di una ragazza che, stufa delle critiche dei genitori sull’uso eccessivo del cellulare, sbottò affermando che loro facevano lo stesso, e invece di rendersi conto del periodo difficile che stava attraversando, erano troppo impegnati a guardare altrove. I ragazzi ci reggono lo specchio in cui abbiamo la possibilità di scoprire chi siamo e che modelli proponiamo loro.

Non mi ha colpito tanto il quindicenne che umilia un docente in crisi, quanto piuttosto la risonanza data al fatto grazie al video virale. Improvvisamente e mediaticamente la nostra scuola sembra esser diventata il Bronx e i ragazzi dei delinquenti, quando fioccano episodi di adulti violenti proprio a scuola, dal professore che approfitta di una studentessa fragile all’insegnante che picchia l’alunna disabile di 9 anni e i suoi compagni per farli tacere sui video porno che guarda in classe sul suo pc, passando per la maestra che augura di morire alle forze dell’ordine. Di cosa ci scandalizziamo? Per anni abbiamo eroso la credibilità dell’autorità, eliminando dalla cultura ogni elemento verticale, ogni criterio guida, sostituendo la validità di un’eredità, sempre e comunque da vagliare e rinnovare, con un’effimera immaginazione al potere. L’autorità viene dalla verità di un’esperienza da trasmettere perché vissuta e valida ma, in assenza di adulti che incarnano ciò che pretendono e in mancanza di proposte di senso credibili, narrazioni e identità diventano tutte provvisorie. Così diventa normale irridere chi rappresenta l’autorità, perché non rappresenta nulla, al massimo un ostacolo alla felicità narcisistica, che non ammette critiche e fallimenti, la pazienza del lavoro quotidiano, il merito, ma pretende la soddisfazione immediata del piacere, e un rassicurante 6 politico. Da qui emergono i due atteggiamenti, apparentemente contraddittori, tipici di chi ha autorità senza di fatto averla conquistata veramente: autoritarismo e lassismo. Da un lato l’inasprirsi di norme, vincoli e punizioni, con l’invocazione di un passato idealizzato, dall’altro l’eliminazione di qualsiasi gerarchia di verità e validità delle proposte, con il conseguente appiattirsi della felicità sul piacere individualistico, per un liberi tutti che poi significa liberi contro tutti.

Una cultura senza proposte di senso credibili genera a cascata tre conseguenze: perdita di identità, narcisismo e vergogna. Il narcisismo è la conseguenza di un’identità volatile e smarrita, che non è stata trasmessa e liberamente elaborata: non si è parte di una storia e non c’è un fondamento di verità su cui costruire se stessi. L’identità, il livello profondo di consapevolezza di sé, fondato su ciò che possiamo dare per scontato, svanisce e deve essere quindi comprata o procurata con una prestazione: ognuno è spinto a usare e abusare del proprio io come oggetto di una performance, che porta alcuni ragazzi ad abbandonare la competizione prima di cominciare, altri a vincerla con ogni mezzo fino a sfinirsi. Lo sguardo altrui ha un potere fondante ma, in assenza di identità, mortale: ci illude di esistere ma ci imprigiona, perché la folla anonima non basta per essere veramente amati. Così cresce la cultura della vergogna, in cui le crisi e le fragilità non sono ferite da riconoscere, accettare e curare attraverso relazioni sane e stabili, ma colpe da eliminare o nascondere perché inadatte al successo, come mostra la lettera dei familiari del famosissimo dj 28enne Avicii, appena scomparso in circostanze suicidarie: «Il nostro amato Tim era un’anima fragile in cerca di risposte a domande esistenziali. Ha lavorato a un ritmo che lo ha portato a uno stress estremo. Voleva trovare un equilibrio per essere felice. Voleva trovare pace. Non era fatto per quella macchina da business».

Anche il profumiere agisce nei modi tipici di chi non sa amarsi e amare: seduzione e violenza. Distrugge le donne più belle, di cui vorrebbe grazia e affetto, e costringe gli estranei ad amarlo con il profumo perfetto. Seduzione e violenza sono dominanti nella comunicazione odierna: per esistere dobbiamo costringere gli altri a guardarci. La profonda sete di amore e di senso, non ricevuti dalle figure di riferimento e interiorizzati nel profondo, fa regredire alle strategie di sopravvivenza delle bestie: predare. La telecamera tascabile rende il ragazzo un predatore di identità, vincolato al copione che gli permette di essere guardato e amato. L’io ha valore se diventa «virale», capace di contagiare gli altri come un virus. La telecamera trasforma il dramma in «spettacolo», parola la cui radice latina indica il guardare senza distanza, al contrario di «rispetto» che, alla stessa radice, aggiunge il ri- iniziale, segnale di un guardare empatico e riflessivo.

Quel video è una richiesta di presenza di qualcuno disposto a dire che la vita non è priva di senso: non a caso i Nirvana nel 1993 cantavano «he was born scentless and senseless» in Scentless apprentice, ispirata al personaggio di Süskind, generato a una vita inodore e insensata.

Il problema non è il cellulare, ma il vuoto di identità, che incoraggia a darsi in pasto agli occhi degli altri, senza alcuna distanza e riflessione, pur di saper di esistere. Il giovane assassino di Parigi, non soddisfatto del perdono della folla, decide di tornare nel luogo in cui è nato e cospargersi dell’intera bottiglia di profumo, per essere amato almeno dai suoi simili. I presenti sono così inebriati da divorarlo, in un banchetto cannibalesco, tragica parodia dell’amore vero che conferma l’identità e individualità dell’altro. Il profumiere è finalmente qualcuno ma, nel medesimo istante, non è più nessuno. E questo perché nessuno ha mai risposto al suo appello d’amore: la mancanza di odore è assenza di amore, che egli cerca di procurarsi fino a distruggersi proprio a causa del desiderio più profondo.

Tutti abbiamo assistito allo spettacolo, la punizione esemplare dei ragazzi rassicurerà la paura di non aver nulla di credibile da trasmettere, ma se potessimo parlare a tu per tu con quei ragazzi, quel professore, quei genitori, troveremmo crisi e ferite di cui nessuno si è preso cura quando era il momento. Il video è in realtà un appello virale della generazione inodore che prega gli adulti di guardarli con fermezza e amore.

Questo il letto da rifare oggi, per liberarli dall’assurdo e dal nulla che spesso avvelenano le loro vite come unica verità, proprio come spera il giovane profumiere: «Per una volta nella vita voleva essere uguale agli altri e liberarsi di ciò che aveva dentro: il suo odio. Voleva essere conosciuto per una volta nella sua vera esistenza, e ricevere una risposta da un altro uomo nel suo unico sentimento vero, l’odio». 

Dopo più di un mese mi rimetto a scrivere su questo blog. Colpito dall'immagine usata da D'Avenia nel "letto da rifare" di questo lunedi.

Il profumo che non vedi ma lo senti se c'è. Anzi se non è presente e invece del profumo ci sono presenti altri odori li senti. Spesso è "l'essenza" della nostra presenza. Ciascuno usa un profumo o comunque ha un profumo legato al sapone che utilizza e alla sua pelle. Il profumo di ciascuno è inconfondibile. 

Come il protagonista del romanzo citato anche noi siamo alla ricerca del "nostro" profumo che è un po come dire alla ricerca della nostra vera identità. Una volta trovata andiamo alla ricerca di qualcos'altro che ci faccia stare bene, che ci faccia sentire felici.

E' la ricerca spasmodica degli adolescenti che si "improfumano" dalla pianta dei piedi fin sopra i capelli e continuano a utilizzare profumi che possano togliere quell'odore del loro "sudore" che è la loro presenza. 

Sorvoliamo l'immagine del profumo è entriamo più nello specifico. Ciascuno ha bisogno di ritrovare se stesso e di sentirsi amato. Fa quello che può, e spesso attira l'attenzione per dire non a parole ma con i gesti e i finti profumi ciò di cui ha bisogno.

Oltre al letto da rifare proposto da Alessandro proporrei di aguzzare  se si dice così) l'olfatto per poter sentire i profumi che ci circondano. Anche gli odori. Come dice il papa, sentire l'odore delle pecore che è come dire esserci dentro la situazione e non scappare. Sentirsi parte delle storia e della situazione.  

mercoledì 14 marzo 2018

La formula dell'acqua


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Due atomi di idrogeno e uno di ossigeno: considerate «la formula» dell’acqua, e solo dopo «la forma» come ha fatto il Guillermo del Toro da Oscar. Nella molecola H2O ciascun elemento dà all’altro ciò di cui ha bisogno per costruire il legame più semplice e compiuto dell’universo. È da questa relazione che dipende la vita. La formula dell’acqua diventa così la più cristallina lezione sulle relazioni: esse danno vita, sono generative e rigenerative, solo quando uno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno, altrimenti sono degenerative. Lo mostrano le parole di una studentessa rinata in una nuova scuola dopo una bocciatura: «Fu la frase di un docente a farmi gettare la spugna: “Sai qual è il tuo problema? Che anche se t’impegnassi non riusciresti a raggiungere il livello della tua classe”. Uscii da quella scuola per non tornarvi più. Ora sono felice. Ho trovato persone che mi hanno permesso di ricominciare, a cui non importava che avessi perso un anno. Oggi sono tra le ragazze con la media più alta della scuola e la parte migliore è che non m’interessa, sa perché? Perché mi hanno insegnato a studiare per stare bene, per poter affrontare ogni tipo di conversazione, per poter pensare liberamente. L’hanno fatto involontariamente, si sono limitati a entrare in classe e a fare il loro lavoro, e sanno farlo davvero bene perché lo amano. Vedo i loro occhi brillare prima dell’inizio di ogni lezione, anche quando sono stanchi. Il professore di filosofia una volta ci ha parlato del legame che esiste nello Zen tra maestro e allievo e che lui applica alle lezioni: i shin den shin che significa da mente a mente, da cuore a cuore. È proprio ciò che si crea durante le loro lezioni, un legame che parte dalla mente e arriva al cuore, prima ancora dell’uso delle parole». La rinascita di questa ragazza è l’effetto di quelli che potremmo chiamare «legami H2O».

Siamo immersi in tanti tipi di relazioni e dalla loro qualità dipende tutta la nostra vita. Non si tratta di sentimentalismo, ma del puro e semplice frutto dell’evoluzione umana. Siamo l’unico essere vivente che rimane «precario» a lungo, infatti a differenza degli altri animali l’autonomia del bambino è frutto di un processo molto lento. Perché la natura ci mantiene fragili per un tempo di vita tanto prolungato? Il fine è ottenere le fondamentali relazioni di cura che garantiscono al bambino e all’adolescente l’ambiente adatto perché il cervello concluda il suo sviluppo attorno ai 18-20 anni. La natura non fa niente inutilmente e per questo motivo quel tempo va curato in modo speciale, perché si attivino e strutturino le connessioni necessarie a sopravvivere, ma soprattutto a vivere secondo la specificità umana. E ciò dipende quasi esclusivamente dalle relazioni in cui siamo immersi.

La lunga «fragilità» del bambino e dell’adolescente genera un «sistema di cura» unico rispetto agli altri animali, ed è definito per questo dalla scienza «a tre opzioni», perché sviluppa tre tipi di relazioni: il legame stabile della coppia dei genitori che hanno fornito le due metà del corredo genetico (per gli animali la cura è appannaggio quasi esclusivo della madre); il ruolo delle nonne (dei nonni come conseguenza), uniche femmine a vivere a lungo, quando smettono di essere fertili, per essere «generative» con i nipoti; le cosiddette relazioni alloparentali, cioè le cure prestate ai bambini o dalla cerchia parentale o da estranei con compiti educativi. Gli antropologi ci confermano che la combinazione di queste relazioni è il frutto del modo unico in cui l’uomo protegge la sua lenta ma straordinaria crescita. Alla luce di questo Alison Gopnik, luminare dello sviluppo infantile e adolescenziale, afferma che fare i genitori non è un lavoro, e non perché non richieda impegno, ma perché educare non significa «produrre» oggetti. Lo scopo dei genitori (e di tutti gli educatori) non è, infatti, plasmare un particolare tipo di bambino, cosa che riduce l’educazione a una serie di prestazioni da ottenere e genera, in questo modo, ansia in chi educa e in chi viene educato. I genitori sono invece chiamati a curare le relazioni, tra loro e attorno al bambino. Allo stesso modo i docenti sanno che insegnare non è riempire una testa di nozioni, ma mettere quella testa in condizioni di imparare autonomamente, perché l’apprendimento non si può produrre ma solo facilitare. Ciò che fa crescere un bambino o un adolescente non è qualcosa che riguarda solo lui, ma innanzitutto noi, che cresciamo nel farlo crescere. In altre parole, possiamo dire che noi non ci prendiamo cura dei bambini perché li amiamo, ma li amiamo perché ci prendiamo cura di loro. E loro di noi. Le cure richieste da un bambino o da un adolescente generano effetti che superano la relazione stessa: nelle relazioni generative 1+1 fa 3, proprio come l’acqua.

Solo così fare il genitore, ed educare più in generale (dal docente alla tata), viene restituito alla sua più naturale vocazione: prendersi cura. Di cosa? Di una relazione capace di dare all’altro ciò di cui ha veramente bisogno. Ci avviliamo quando figli e alunni non risultano confacenti alle nostre aspettative, ma prima facciamo i conti con questo necessario smacco e meglio è, per il semplice motivo che la crescita non è la misurazione di un risultato controllabile, ma il frutto dell’avere messo il bambino o l’adolescente nelle condizioni migliori di crescere, cioè di diventare quello che è già ma non ancora. Lo dico spesso ai genitori dei miei studenti: loro non somigliano a voi presi singolarmente, ma alla qualità della relazione fra voi due e a quella con loro. La forza interiore a cui attingo nella mia vita di adulto l’ho ricevuta dalla forza del legame tra i miei genitori durante la mia formazione: nel bene e nel male una parola o un gesto in quel periodo producono l’eco per tutta la vita.

Più di tutti gli animali l’uomo reagisce all’atto stesso della cura, cioè cresce grazie alla qualità e alla molteplicità delle relazioni. Se un bambino è immerso in legami H2O riceverà da queste relazioni ciò di cui ha più bisogno per compiersi e, senza saperlo, farà lo stesso con chi lo cura: l’educatore, infatti, amplierà la sua capacità di amare. Non è intasando il tempo di un bambino con mille corsi che si ottiene l’adulto che speriamo, ma passando molto tempo a giocare con lui, perché il gioco, non avendo secondi fini, è la cura stessa della relazione e la palestra migliore per rendere il cervello duttile e aperto all’esplorazione. Serve molto di più curare pranzi e cene insieme che dare mille ordini, perché il tempo che gli umani dedicano al cibo non è tempo dedicato a nutrirsi, ma a stare insieme mentre si nutrono. Abbiamo fatto tavoli e sedie per questo. Mi ricordo con gratitudine quando mia madre mi aspettava fino a tardi per non lasciarmi pranzare da solo dopo la scuola. Non è obbligando un adolescente a infinite ore di scuola che si garantisce la passione per l’apprendimento, ma è trasformando quell’ora in spazio di relazioni profonde con l’argomento studiato e, attraverso di esso, con se stessi e gli altri. Non posso scordare quando il mio professore ci fece ascoltare una sonata di Beethoven per raccontarci il romanticismo. Da quel giorno il pianoforte del maestro mi accompagna e imprime il ritmo che voglio dare alle pagine che scrivo. Gioco, tavola, ore di lezione sono solo alcuni esempi di spazi ordinari per relazioni H2O. 

Una scuola basata sulle prestazioni più che sulle relazioni è inefficace, perché l’apprendimento non è addestramento alla performance come per un animale, ma assunzione autonoma del sapere consolidato per affrontare qualsiasi prova (lo specifico del cervello giovane è innovare partendo da ciò che è valido in una tradizione). Gli educatori non sono falegnami, Geppetto non può rendere Pinocchio un bambino vero con i suoi strumenti. Gli educatori somigliano più a giardinieri che mettono terra e semi in condizione di dar frutto, ma il modo in cui accadrà è soggetto alle variabili del caos della vita e soprattutto al tempo, che in biologia non conosce sconti o recuperi tardivi. Il tempo non dato a un bambino o a un adolescente non ci viene restituito.§

Cercare di determinare il risultato di uno studente o un figlio sulla base di una catena di montaggio è dispendioso e inutile, invece tutto sta nell’immergere i ragazzi in relazioni H2O. Questo li renderà forti ma al contempo malleabili, capaci di trovare soluzioni nuove e adeguarsi creativamente all’imprevisto (soprattutto nei periodi di crisi). Oggi preferiamo curare le nostre aspettative moltiplicando rassicuranti performance esteriori, più che curare le relazioni con attenzioni che ci impegnano in prima persona. Eppure le righe della studentessa mostrano con chiarezza qual è il letto da rifare oggi, che cosa fa morire e rinascere i ragazzi: curare la qualità delle relazioni più che la quantità delle prestazioni.

La formula dell’acqua genera la forma dell’acqua, in cui convivono profondità e superficie, forza e versatilità, trasparenza e colori, freschezza e fecondità, continuità e novità... 

Tutte le qualità che auguriamo ai nostri studenti, ai nostri figli.



sabato 10 marzo 2018

La forma dell'acqua vale tutti i premi che ha ricevuto

Dal regista visionario del “Labirinto del fauno” e “Crimson peak” una nuova avvincente avventura ambientata negli anni 60.

Il libro è molto più descrittivo, mentre il film fa la sintesi della vicenda. Devo dire che ho apprezzato molto di più il film che nelle due ore di visione ti fa immergere nella vicenda. Passa l’idea di collaborazione e amicizia che c’è tra le due donne delle pulizie che si sostengono a vicenda. La protagonista Elisa attraverso i segni cerca di comunicare. Sta proprio qui l’elemento interessante di incontro con la “creatura” il “Deus Branchia”. I due personaggi principali si incontrarono attraverso le mani, gli occhi, i silenzi. È o non è il linguaggio dell’amore?

Non si capisce fino a che punto “la risorsa”, che non ha un nome, possa essere più umana o “animalesca”. Forse sono più “animalesche” le persone che girano attorno ai luoghi di vita di Elisa. 

Infine latro elemento importante è l’acqua che come recita la poesia finale sta attorno alla creatura e la avvolge. La sensazione è proprio questa. Quando si nuota in acqua, al mare o in piscina ci si sente avvolti e cullati con una sensazione di tenerezza infantile. Quasi come essere avvolti dalla placenta nel grembo materno. Forse è proprio questo che ci fa sentire così bene. Se poi l’acqua è acqua termale calda allora la sensazione si amplifica. Ci si sente immersi completamente e i suoni in immersione sono ovattati. 

Concludo con i versi della poesia conclusiva.

Incapace di percepire la forma di Te, ti trovo tutto intorno a me. 
La tua presenza mi riempie gli occhi del tuo amore, 
umilia il mio cuore, 
perché tu sei ovunque.






mercoledì 7 marzo 2018

L'orso siberiano




Riporto questo video perché esprime il modo di fare di un educatore che si propone e non impone rispetto ai ragazzi e bambini che ha davanti.

E' la storia di Franco Nembrini. Qualche anno fa era preside della Traccia (calcinate - Bergamo). Aveva fatto un gemellaggio con una scuola nella siberia. La scuola siberiana aveva regalato alla scuola bergamasca una pelli di un orso siberiano con tanto di testa dell'orso imbalsamato. Franco voleva far vedere agli studenti delle elementari l'orso alla fine di una giornata scolastica. Allora prepara il tutto su un tavolo nell'aula magna prima della fine della scuola. 

Quindici minuti prima arrivano le maestre e la direttrice tutte agitate perché hanno saputo dalle mamme che non vogliono far vedere l'orso e soprattutto dire che è morto ammazzato. (mamme anche animaliste e non...)

Il preside ha una genialata. Al momento della presentazione chiede: "Sapete come è morto l'orso?". "In Siberia fa talmente tanto, ma tanto freddo che è morto di polmonite". Risata generale e finale. Tutti a casa.

Il giorno dopo Nembrini chiede alle maestre ancora prima di iniziare le lezioni di fare questa domanda in classe agli studenti: "Bambini, come è morto l'orso?". E tutti in coro hanno risposto: "E' morto ammazzato"

E' prorpio vero che i bambini non sono stupidi e hanno capito benissimo com'è la vita e come ha fatto l'orso ad arrivare sulle loro cattedre.

Grande Nembrini!

(per la cronaca: questo episodio è stato citato anche a radio dee jay da Nicola Savino che ha acclamato Franco Nembrini Presidente!)

lunedì 5 marzo 2018

Desiderio e passione: la nostra vita


«Ultimo anno, cinque insufficienze nel primo trimestre. Dovrebbero preoccuparmi, ad agitarmi è invece la mancanza di passioni di mio figlio, il non studio credo sia solo la conseguenza. Sembra appagato solo quando è vestito in un certo modo ed esce con gli amici. Da anni ha questa resistenza allo studio e fino ad ora mi son sempre detta: maturerà. Ha recuperato insufficienze peggiori, non vuole esser bocciato, ma quando gli ho chiesto cosa vuol fare nella vita mi ha detto che non c’è niente che voglia fare, niente che lo appassioni». Sono le parole di uno dei tanti genitori amareggiati per un figlio che, alla fine del percorso scolastico, sembra non aver raggiunto il fine dell’adolescenza: elaborare la propria unicità a partire dalla conoscenza di sé, liberandosi così dalle illusioni che lo portano a sottovalutarsi o a sovrastimarsi. Il ragazzo si aggrappa a un’identità momentanea e passeggera vestendosi alla moda tra gli amici, ma non si appassiona a nulla, perché la passione, a differenza del piacere, riguarda il futuro e non il presente: la passione non si compra ma si scopre, si coltiva e spinge a entrare nel territorio incerto del possibile per realizzarsi, non a caso passione ha la stessa radice di pazienza. «Passione» è infatti una parola felicemente a due facce, perché indica sia il trasporto erotico sia la capacità di soffrire per qualcosa.

Ai miei studenti faccio imparare a memoria il proemio dell’Odissea: devono ricordare per tutta la vita che Ulisse è colui che «conobbe le città e i pensieri di molti uomini,/molti dolori patì sul mare nell’animo suo,/per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni». In altre parole, la conoscenza e la passione come strumenti di salvezza, propria e altrui. La vita si fonda su questo eroico caposaldo: per salvarsi bisogna conoscere e patire. Oggi purtroppo però alla salvezza, intesa come esplorazione rischiosa del futuro, preferiamo spesso la sicurezza, che ci protegge da ogni caduta ma ci impedisce la presa sulla realtà: creiamo una bolla che ci serve a confermare fino alla noia ciò che già siamo e crediamo, quando è invece solo il contatto faticoso con «l’altro da me» a restituirci la consistenza appassionante delle cose. Si è persa quella che Andrea Marcolongo chiama nel suo nuovo libro «La misura eroica» del vivere. L’autrice, commentando il mito degli Argonauti, giovani a caccia di avventure per definire se stessi, ricorda che Platone aveva inventato un’etimologia che fa discendere la parola «eroe» da «eros»: non c’è eroe senza eros perché senza passione non si lascia il proprio recinto confortevole per intraprendere la via che porta al compimento di sé, poiché anche se si patisce ne vale la pena.


L’apatia dei ragazzi è argomento frequente delle lettere che ricevo, a conferma che viviamo in un’epoca di passioni infeconde, cioè senza eros e quindi senza uscita da sé. Prevalgono quelle autoreferenziali (narcisistiche), autodistruttive (le dipendenze) o distruttive (varie forme di violenza), tutte frutto del desiderio bloccato per assenza di chiamata e quindi mancanza di futuro come esplorazione del possibile. Come fare a risvegliare il desiderio, affrancarlo dalla paralisi della paura e dell’iper-sicurezza, dell’inquieto adeguarsi a piaceri troppo rapidi per dare consistenza alla felicità? Come restituire alla vita quotidiana una misura eroica e appassionata? Come andare oltre le passioni tristi?


Il fine che muove Ulisse è il ritorno a Itaca, per sé e i compagni. Diventare responsabili di qualcuno è accensione della vita, la scintilla che dà fuoco al desiderio umano di compiersi e superare se stessi. I ragazzi si ripiegano nell’apatia, che a volte produce violenza, proprio per sentire meno il dolore del desiderio imprigionato, del compimento interrotto: avere qualcosa per cui patire è ciò che trasforma una comparsa in un protagonista (in greco colui che combatte in prima fila), ma prima bisogna aver reso la pietrosa Itaca il luogo più bello per cui lottare, proprio grazie ai legami che la rendono «Itaca». Solo così si può realizzare ciò a cui ogni uomo si scopre chiamato: diventare se stesso, evitando sia la comoda inerzia sia la scomoda fuga da sé spesso nascosta dall’accelerazione smisurata del ritmo della vita. Tornare a Itaca consente di trasformare ciò che ci è dato e non abbiamo scelto, cioè il nostro destino, in una destinazione, che si manifesta in una vera e propria novità da creare con quegli elementi. Ma dov’è finita Itaca?


Viktor Frankl, psichiatra sopravvissuto ai campi di concentramento racconta che, tra i compagni di prigionia, riuscivano a salvarsi solo quelli che riattivavano il desiderio: «Due compagni rinchiusi con me nel lager rivelarono “di non sperare più nulla dalla vita”. Ad entrambi si poteva chiarire ancora che la vita si aspettava qualcosa da loro, che qualcosa li aspettava nel futuro. In effetti risultò che una persona attendeva uno dei due: il figlio adorato “attendeva” all’estero il padre. L’altro non aveva nessuno, ma l’“attendeva” una cosa: la sua opera! Infatti quest’uomo, uno studioso, aveva pubblicato su un certo tema una collana di testi che attendeva il suo compimento. Quest’uomo era indispensabile per quest’opera; nessuno avrebbe potuto sostituirlo, proprio come l’altro era insostituibile nell’amore del figlio: quell’unicità e originalità che distinguono ogni individuo e che conferiscono — esse sole — alla vita il suo significato. L’essere indispensabile e insostituibile fanno apparire nella giusta misura, non appena affiorano nella coscienza, la responsabilità che un uomo ha della sua vita. Un uomo pienamente consapevole di questa responsabilità nei confronti dell’opera che l’attende o della persona che lo ama e l’aspetta, non potrà mai gettar via la sua esistenza» (Uno psicologo nei lager).


Persino in condizioni disperate il desiderio può essere risvegliato aiutando a passare dal «non mi aspetto nulla dalla vita» al «che cosa la vita si aspetta da me?», solo la risposta a questa domanda rende l’uomo insostituibile e l’esistenza appassionante. La risposta è oggi ostacolata anche dalla concezione del talento come autoaffermazione contro gli altri, quando proprio il talento è la strada che porta a compiere se stessi compiendo anche gli altri e il mondo, in un gioco in cui vincono tutti, sia chi dà sia chi riceve. Ho deciso di fare l’insegnante e farlo in un certo modo perché questo dà senso alla mia esistenza, e l’energia impegnata per i ragazzi cresce invece di esaurirsi, perché so che mi aspettano, anche quando il sistema scuola mi deprime. Ma io lavoro per loro, non per l’ottusità del sistema.


Il talento è un dono fatto per esser donato, come sa bene l’artista, la sua opera non è per sé ma per un ampliamento del mondo. Leopardi in uno degli ultimi pensieri dello Zibaldone scriveva: «Uno dei maggiori frutti che mi propongo e spero dai miei versi è contemplare le bellezze e i pregi di un figliuolo, non con altra soddisfazione che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui». Fare qualcosa di bello al mondo è il desiderio radicale di ogni uomo, e il riconoscimento altrui ne è solo una conseguenza possibile e non necessaria, perché la felicità consiste puramente nel realizzare «la cosa bella». Anche il poeta contemporaneo Daniele Mencarelli lo ha sperimentato con sofferenze enormi, come racconta nel suo recente romanzo autobiografico «La casa degli sguardi». Distrutto dalla dipendenza dall’alcol, in preda alla disperazione chiede aiuto a un amico che gli trova un posto di addetto alle pulizie nell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Il dolore dei piccoli e la responsabilità di un lavoro da far bene per loro risvegliano la passione quasi distrutta per la vita. Proprio in mezzo al patire dei bambini trova la sua Itaca, tocca a lui prendersi cura di loro che lo attendono, forte e lucido, ogni giorno: «Non mi posso più permettere di fuggire, d’avere la vista annebbiata, voglio guardare in faccia le cose».


Noi diventiamo capaci di «attendere a» (bella forma italiana per indicare il prendersi cura) qualcosa o qualcuno, solo quando diventiamo consapevoli che quel qualcosa o qualcuno ci «attende». La mia passione cresce quando attendo a un alunno, a una pagina, perché sono insostituibilmente responsabile di quell’alunno e di quella pagina che aspettano ogni mio sforzo creativo. Il letto da rifare oggi è un compito che la famiglia e la scuola non possono improvvisare, perché non è frutto del caso ma di azioni quotidiane, per permettere ai ragazzi di riconoscersi unici e insostituibili per qualcuno o qualcosa. Uno dei migliori giovani compositori contemporanei, Nils Frahm, racconta in un’intervista al NYTimes di dover tutto al suo maestro di pianoforte che, quando Nils era un adolescente annoiato e indisciplinato, «mi fece capire che avevo bisogno di soffrire per qualcosa di molto bello»

Senza soffrire per il bello del mondo non troveremo mai nulla di bello da fare al mondo. (Alessandro D'Avenia)

Dopo le elezioni e la tragica notizia della morte del giocatore Davide Astori queste parole passano in sordina. Eppure le parole "desiderio" e "passione" sono le parole che sostengono la nostra vita politica meno importante della vita di una persona.
Oggi i miei studenti mi hanno fatto riflettere sui prossimi scenari rispetto alle elezioni. Abbiamo un paese che non ha un governo di maggioranza. Non ci sono molti scenari aperti. Le due fazioni cercheranno di formare un governo. Si tenterà di formarlo.
Dall'altra parte la morte di un calciatore ci interroga sulla vita e sulla morte. Ma non solo di un calciatore (con tutto il rispetto per la famiglia, ci mancherebbe) ma ogni persona giovane che muore senza un motivo ci mette davanti a delle domande.
Finisco la giornata dopo un confronto in classe su queste due notizie che hanno smosso gli animi (e per fortuna...) e vado a riposarmi con più domande che risposte.
Cosa desideriamo per la nostra vita?
Cosa desideriamo per il nostro paese?
La vita ogni giorno è una grande avventura. C'è chi, come Davide, sta già vivendo il secondo tempo della partita più importante della sua vita. Il primo tempo è stato tutto quello che ha donato alla sua famiglia e alle persone che ha incontrato, ora vive il secondo tempo, quello infinito, quello che rimette le mani e la vita nell'Assoluto.



Colui che raccontò la grazia

Dedico volentieri questo post alla pubblicazione di questo libro edito da Cittadella. Il libro del collega e amico Mauro che aiuta a ...