lunedì 30 gennaio 2017
giovedì 12 gennaio 2017
Quei gesti che educano al dialogo
A riguardo del dialogo tra musulmani e cristiani ho almeno due esperienze da raccontare.
La prima viene da otto mesi di esperienza in una struttura di prima accoglienza per richiedenti asilo nella provincia di Bergamo. Ho vissuto gomito a gomito con 130 ragazzi; il mio ruolo era quello di educatore. Non è stato facile, soprattutto per le difficoltà linguistiche che ho con il francese e l’inglese. Mi ha molto colpito la capacità di adattamento di questi ragazzi che dopo pochi giorni dallo sbarco dalle navi “della salvezza” si ritrovavano in un luogo protetto e cercavano di socializzare. Un gesto mi è rimasto impresso fin da subito: il saluto. Che sia cristiano o musulmano, oppure qualche altra confessione religiosa, il saluto era un “gesto sacro” per tutti. Ci si salutava con qualsiasi parola, ma il gesto era molto forte. Stretta di mano con abbraccio e mano che incontrava la mano dell’altro sul petto. Bellissimo gesto di integrazione. Certo, non mancavano le difficoltà del vivere insieme, ma quel gesto mi è rimasto dentro. Anche quando un ragazzo lasciava il progetto, era interessante vedere i compagni di camera che lo accompagnavano a prendere il pullman, lo aiutavano con le valigie e, salutandolo, gli auguravano una buona vita, trattenendo al petto – sul cuore – tutto quello che avevano imparato nello stare insieme. Era un gesto di pace e di amicizia. Un gesto semplice, direi, ma molto efficace.
La seconda esperienza è il racconto di un amico, Serge, che proviene dal Camerun. Mi raccontava che nel suo paese il 60% della popolazione è cristiano, mentre il restante 40% di religione musulmana. Il governo camerunense cerca di facilitare la convivenza: gli incarichi ministeriali sono ricoperti da politici di fedi differenti. Per esempio, se il Capo di Stato è cristiano, il suo Segretario e il Ministro dell’Interno sono musulmani; non si tratta di una legge scritta, ma è una consuetudine. Nello specifico, poi, alcuni ministeri sono riservati alla minoranza musulmana. Un altro esempio è rappresentato dalle varie feste, in modo particolare nel mese di Ramadan. All’inizio di questo periodo, il Presidente invia il Capo del Governo a pregare con i musulmani. Questa occasione viene tra l’altro trasmessa in televisione, così che tutti i cittadini possano vedere e ascoltare questo momento, imparando a rispettarsi e a scoprire la diversità: la religione fa parte dell’identità dell’altro. Di consuetudine a Natale le famiglie cristiane invitano gli amici musulmani a pranzo; viceversa, durante il Ramadan, sono i cristiani ad essere invitati a partecipare alla festa musulmana che conclude il digiuno; una gran festa in cui fa da padrona la convivenza e il reciproco rispetto. È un di più la diversità religiosa, perché aggiunge occasioni di dialogo ed esperienze nuove.
Nel 2015 un importante generale è stato inviato in un villaggio in cui c’era stato un massacro di cristiani da parte di musulmani. Il generale, in occasione di questa visita, aveva scelto di farsi accompagnare da suo vice, che è di fede musulmana. Richiamando i capi cristiani, li invitava a rispettare l’identità altrui e a non vendicarsi per tale attentato. Il generale prendeva come esempio il suo rapporto di amicizia con il suo vice. E raccontava che, in viaggio, di venerdì il suo vice aveva bisogno di pregare. Lui per rispetto si fermava sempre e aspettava l’altro in macchina mentre pregava. Gran bel gesto di amicizia! Questa abitudine lo rendeva un amico, e non solo un “vice”. Ci sono dei ruoli anche nell’esercito che vanno rispettati, come il soldato con il suo superiore. Ma quando si parla di amicizia lo schema salta. La religione è una diversità ma anche un motivo di incontro. Ognuno mantiene la sua identità e l’amicizia supera tutto. Esiste il dialogo tra le religioni ed esso si incarna nei gesti dell’amicizia come il “mangiare insieme” e festeggiare insieme. In Camerun non è mai scoppiata una guerra civile perché tutti i suoi abitanti, da anni, sono incoraggiati a convivere serenamente.
Questi sono esempi di esperienze di dialogo che provengono dalla vita concreta; non sono esperienze inventate, oppure proposte calate dall’alto senza essere condivise. I cittadini vedono e imparano non solo dalle parole ma dai gesti, che parlano più delle parole.
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